Vico Purgatorio



Faceva il palo. Stava lì e controllava tutto. Chi entrava, chi usciva, chi veniva per regalare un sorriso e chi per fotterselo.
Pulcinella stava lì, a Vico Purgatorio, tutti i giorni. Anche in quelli di pioggia e vento, quando la gente è poca e va sempre di fretta. Con la testa sotto l'ombrello e gli occhi sulla strada di Spaccanapoli. Qualcuno lo salutava e gli dava qualche spiccio per un caffè. Lui non smetteva mai di augurare buongiorno, di raccontare una barzelletta o di fare una battuta su qualche bella guagliona a passeggio. Più le pozzanghere si riempivano d'acqua e merda, più Pulcinella canticchiava, sorrideva, prendeva e si faceva prendere in giro.
Dall'alba a tramonto stava lì. Lo potevi incontrare sempre. Poi la sera rincasava, nessuno ha mai saputo dove abitasse. Al suo posto, dopo qualche ora, si metteva un ragazzo a vendere il fumo. Un tipo tranquillo, ancora con qualche sogno negli occhi, ma con le labbra troppo serrate per raccontarlo a qualcuno. Vendeva il fumo dalle dieci di sera alle tre di notte. E pure lui faceva il palo. Controllava chi entrava, chi usciva, salutava quando doveva e si faceva i cazzi suoi.
Aveva sempre il naso rosso. Starnutiva ogni cinque minuti e aveva fisso un pacchetto di fazzolettini in mano. Forse era allergico a qualcosa. Nelle notti napoletane puoi trovare di tutto. Tante cose che di giorno scompaiono. E certe allergie funzionano alla stessa maniera: inesistenti di giorno, pressanti di notte. Forse il ragazzo era allergico proprio alle notti napoletane, o al Vico Purgatorio quando il sole se n'era andato a cuccà. Alle tre di notte, sempre alle tre di notte, passava una vespa con due tizi a bordo. Quello seduto dietro scendeva e andava dal ragazzo. Lo salutava ogni sera alla stessa maniera: mano destra dietro la nuca e bacio in fronte. Poi entravano insieme nel vico, pochi secondi e tornavano su Spaccanapoli. Il tizio risaliva sulla vespa, dopo aver sistemato qualcosa nelle tasche, e il ragazzo piantava i pugni chiusi dentro al jeans e rincasava.

Una mattina di tanti anni fa, una di quelle mattine col sole che non tiene genio di farsi vedere e col vento gelido che ne approfitta per farsi un giro tra i vicoli di Napoli, Pulcinella non si fece vedere. Tutti quelli che passarono davanti a Vico Purgatorio notarono la sua assenza. Magari per anni avevano ignorato la sua presenza, ma l'avevano sempre notata. E quella mattina, quando al posto di Pulcinella trovarono una enorme pozza di sangue per terra, furono tutti un po' tristi. Avrebbero voluto farsi prendere in giro o sentire una barzelletta, un lazzo, una sconceria educata. Niente. Quella mattina nessuno lo vide. E da quella mattina, nessuno lo ha visto più.
Dove stava quella pozza di sangue adesso ci hanno messo una statua. Un busto di bronzo. Con la faccia di Pulcinella. I napoletani che ogni mattina passano davanti a Vico Purgatorio, la vedono e la toccano. Le accarezzano il naso. 
E qualcuno, tra un sospiro silenzioso e un sorriso a mezza bocca, lascia pure un pacchetto di fazzolettini. 

'O Borgo



Dint ‘a ciascuno ‘e nuje ce sta nu borgo,
nu posto fatto ‘e vicoli e suspiri,
lampiuni rutti, zoccole e vampiri,
e desideri chiusi ‘int a ‘n ingorgo.

Nu borgo co ‘e lenzole spase a ‘o sole,
scugnizzi ca pazzeano a pallone,
guagliuni ca fitteano ‘e guaglione,
silenzi ca nu cercano parole.

Dint ‘a nu borgo tu ce truovi tutto:
dimenticanza affianco alla memoria,
lacreme ‘e chianti e lacreme di gioia,
bellezza pure addò tutto è distrutto.

Ma i borghi oggi ‘e vonno cancellà,
‘o munno cagna e cagnano i suspiri.
Sulo l’ultimo d' 'i tanti deliri
C’ ‘anno chiammato “La Modernità”.

Ma nun vedite quanto è assaje moderno
‘o borgo che sta dint e fora a nuje?
Chello ca è nuostro, nuje v’ ‘o damme a vuje,
e ‘o Munno intero se fa borgo eterno.

Silenzio Napoletano



Una città chiassosa, sguaiata, eccessiva, rumorosa, popolata da gente chiacchierona e invadente.
Chi  non ama Napoli e i Napoletani, spesso, usa questi termini. Il problema è che, non poche volte, anche chi li ama utilizza la stessa descrizione, magari addolcendola con qualche termine positivo: chiassosa allegria, rumorosa vitalità...

Vi diremo una cosa che forse vi sorprenderà: l'unicità di Napoli non è nei rumori, ma nei silenzi. Andate al Centro Direzionale dopo mezzanotte, in un anonimo mercoledì di febbraio: ascolterete il Silenzio, il suo respiro affannoso e stanco.
Risalite la Pignasecca quando la luna è nascosta dalle nuvole: vedrete il Silenzio, il suo profilo ellenico e i suoi occhi glaciali.
Recatevi al Tempio di Fuorigrotta, comunemente chiamato "Stadio San Paolo", in una piovosa notte di vigilia Champions: assaggerete il Silenzio, ne gusterete i sapori mediterranei e normanni, magari accompagnandoli con una birra gelata da 66, comprata al Gazebo fuori alla curva b.

E se qualcuno pensa che solo di notte si possa incontrare e apprezzare il Silenzio a Napoli, probabilmente non è mai stato nei giardini di Palazzo Reale all'approssimarsi del tramonto, quando la biblioteca si svuota e le strade si riempiono di macchine e di fretta. Oppure non ha mai respirato l'aria dalle terrazze di Castel dell'Ovo, poco dopo aver sorseggiato un delizioso caffè post pranzo.

E i Napoletani, quelli degni di indossar questo nome in giro per il mondo, li amerete non quando vi faranno ridere e divertire, quando faranno casino per ogni cosa, sorridendo in faccia al sole come si sorride in faccia al Potere.
No, non sarà così. Li amerete quando staranno zitti. Quando si perderanno nell'orizzonte dei vostri occhi, senza farvelo notare. Quando vedranno Partenope in televisione e schiuderanno le labbra sena emettere un suono, come se pregassero o mandassero baci allo schermo. Li amerete quando gireranno il cucchiaino nella tazzulella e un piccolo, breve sorriso si dipingerà sul loro volto.

Solo a Napoli potete incontrare il Silenzio, quello "con la maiuscola"? Ovviamente no, che domande. Il Silenzio non ha padroni, e non vuole servi. Non ha una dimora fissa: è uno zingaro, un nomade, un migrante. Ha girato e gira tuttora il globo, visita milioni di città e miliardi di anime.
A Napoli, però, ci torna sempre volentieri. E nei cuori dei Napoletani si trova bene.

Cercatela anche voi, questa Napoli silenziosa.
Cercateli anche voi, questi Napoletani silenti.
E siate voi stessi un silenzio napoletano, non tanto perchè il mondo vi amerà di più, ma perché il mondo ha bisogno di voi.
Non esiste sulla Terra un luogo o una persona che non abbia bisogno di un Silenzio Napoletano.



L'angolo



Ognuno tène nu posto,
'n angolo sulo pe' sè
addò respirà aria diversa,
sugnà cull'uocchie ammarrati e 'a vocca aperta,
addò farsi vasà dall'ombra d' 'o tramonto
o farsi sputà 'n faccia d' 'a pioggia.
L'angolo mio era nu tetto vullente
pure sotto 'e nuvole,
e feteva 'e poesia antica
e 'nfame gioventù.






Hasta siempre, Comandante



A Roma pioveva. Ugolini provava a fare lo stoico, a fronteggiare la pioggia senza uno straccio d'ombrello, senza nu cappiello o nu k-way col cappuccio. Diretta notturna per sky sport, dietro di lui un portone da casa antica. Sono gli studi della Filmauro. Lì dentro, Ancelotti e De Laurentiis si stavano mettendo d'accordo. Questo è l'ingaggio, queste le clausole, queste le strategie sul mercato, questi gli obiettivi. E man mano, altri giornalisti insieme a semplici curiosi andavano a fare compagnia ad Ugolini.
Pure a Napoli pioveva. 'Na pioggia diversa, meno intensa e più obliqua. Che scendeva in diagonale, che faceva la diagonale manco fosse Hysaj. Sulle finestre rigate dalle gocce si riflettevano i televisori di migliaia di napoletani, sintonizzati sulle ultime notizie. Con il cuore spaccato e 'a cerevella in moto: il Comandante se ne va, mannaggia 'a mort. Meno male che a sostituirlo potrebbe venire Ancelotti. Il migliore su piazza. Uno che ha alzato da solo più Champions della juve in 120 anni. Uno che, almeno a prima vista, con noi napoletani nun ci azzecca niente. Beh, pure Bianchi e Bigon nun ci azzeccavano niente, eppure...

A Roma, Ugolini si era deciso a piglià un ombrello. Il portone alle sue spalle era ancora chiuso. Le pozzanghere cominciavano a scolpire, da navigate artiste, le caratteristiche "buche romane". E' una specialità della Città Eterna. Vengono pure dal Giappone a fotografarle. All'improvviso, il portone si è aperto. Un auto, guidata da Edo De Laurentiis, il figlio del presidente, lasciava gli uffici della Filmauro. Dietro di lui, in lontananza, le telecamere riprendevano un'auto scura, coi fari accesi e pronta a partire. Tempo dieci secondi e pure 'sta seconda macchina ha varcato il portone. Seduto dietro al guidatore c'era proprio Carlo Ancelotti. La macchina non si ferma né rallenta. Le telecamere riescono a riprendere giusto qualche frammento sparuto, zigzagando tra i graffi della pioggia. I cronisti non ottengono una dichiarazione, neppure il classico e banale "no comment".
A Napoli, intanto, sotto una pioggia che aveva messo in fuorigioco parecchi sentimenti e già stava pressando alta sui ricordi, c'era una finestra appannata. Non rifletteva immagini televisive né consentiva di vedere limpidamente quella Napoli fredda e umida, la Napoli Siberiana, che tanto amiamo. Una Napoli opposta alla solita cartolina col Vesuvio, 'o cielo azzurro e 'o mare blu. Dietro la finestra appannata c'era un uomo con una sigaretta. Aveva gli occhiali che se ne scendevano sul naso e la barba vecchia di qualche giorno. Il fumo che sputava fuori dalla bocca e dal naso stava appannando la finestra, mettendo in risalto i profili argentini delle gocce. 

Si, perché a Napoli pure le gocce di pioggia hanno profili argentini. 
Hasta siempre, Comandante.

Un ossimoro



La stagione è finita. Il Napoli non è riuscito a prendere il Palazzo. Secondi, con 91 punti: mai nella storia una squadra era arrivata seconda con così tanti punti in classifica. Tanta amarezza, un pizzico di delusione, parecchia rabbia per ciò che è stato tolto: secondo alcuni, dalla sfortuna e dai limiti della squadra e della società; secondo altri, proprio dal Palazzo che si voleva assaltare, ancora troppo bianconero e nordista.
La stagione è finita. Per il terzo anno di fila, senza un trofeo. "E allora che avete da festeggiare?". Perché ieri, al San Paolo, c'è stata una festa. Di più, è stato tributato un trionfo, come accadeva alle legioni imperiali che tornavano dalle guerre. E non era nemmeno l'unico trionfo dell'anno: tutta Europa ha potuto ammirare la folla immensa che ha accompagnato la squadra a Capodichino, prima della trasferta di Torino. E la stessa folla ha aspettato la squadra al ritorno dalla trasferta in terra straniera e ostile, festeggiando tutta la notte. Fuochi d'artificio e cortei in città. "Ma che avete da festeggiare? Che avete vinto?".
Niente. Non abbiamo vinto niente, se per vincere si intende sollevare trofei o entrare negli almanacchi. Ma noi siamo Napoletani, di nascita o di tifo. Per noi vincere non è e non sarà mai "l'unica cosa che conta". La nostra vittoria non sarà mai come la vostra, al di là del risultato. Perché?

Eh, come posso rispondere a questa domanda... come ve lo spiego...
Dovrei spiegarvi il sorriso di Eduardo e di Troisi. Un sorriso bellissimo, dolce, amaro, triste. Un sorriso che mette tristezza e una tristezza che fa sorridere.
Dovrei spiegarvi la chitarra di Pinuccio, il suo blues che ha portato il Mississippi sotto il Vesuvio e Forcella a Chicago. Il blues, la musica più internazionale del mondo. La musica che affonda le radici nel fango e nella pelle. Internazionalismo e radici: conoscete definizione migliore per l'essenza di un Napoletano?
Dovrei spiegarvi la nobile miseria di un principe della Sanità, uno dei quartieri più popolari di Napoli. Antonio de Curtis, per tutti Totò. Un principe senza principato, un titolo senza titolo. Un po' come quel coro cantato ieri al San Paolo: "Campioni, campioni!", mentre passavano i secondi classificati. I secondi, campioni.
Dovrei spiegarvi come un regista napoletano possa vincere un oscar con un film su Roma e dedicarlo a Maradona. E il titolo del suo film diventi il titolo di un manuale del calcio.
Dovrei spiegarvi come possa un capitano slovacco parlare in napoletano con un portoghese, invitandolo ad ignorare i soliti vergognosi indecenti cori contro Partenope e i suoi figli. I Figli del Vesuvio.
Dovrei spiegarvi come una città nata otto secoli prima di cristo non abbia mai, dico MAI, dichiarato guerra ad un'altra città, nazione, stato. Una città che ha conosciuto dominazioni d'ogni tipo, con sovrani che arrivavano parlando francese o spagnolo e se ne andavano parlando in napoletano.

Dovrei spiegarvi ciò che a voi sembra una serie infinita di stucchevoli contraddizioni.
Invece non lo è.
Perché Napoli è un ossimoro vivente. Il più bello di tutti.